In questo 2025 ricco di emozioni, il Foro Italico per gli Internazionali BNL d’Italia, l’orgoglio azzurro risuona forte: Jasmine Paolini alza la coppa del singolare femminile e, in coppia con Sara Errani, firma un doppio da favola. Nel tabellone maschile Carlos Alcaraz si mette la corona di re di Roma, mentre Jannik Sinner — al rientro dopo mesi di assenza — conquista un argento da standing ovation, prova che la stoffa dei campioni non scolorisce. Eppure, mentre i riflettori ancora guizzano sul podio, qui, su Mentalità Amplificata, vogliamo celebrare un’altra vittoria, più silenziosa e costante: quella di chi sfida ogni giorno un avversario invisibile e continua a giocare al massimo livello. Oggi il nostro applauso va ad Alexander Zverev, campione di racchetta e di resilienza.
Il campione e la diagnosi
Alexander Zverev non è soltanto un virtuoso della racchetta; è la dimostrazione vivente che una diagnosi può diventare trampolino anziché zavorra. Da quando, a soli tre anni, il diabete di tipo 1 ha bussato alla sua porta, ogni seduta d’allenamento è diventata un incontro a tre: lui, l’avversario di turno e la glicemia che sale e scende come un tie‑break infinito. Eppure “Sascha” ha riempito la bacheca di trofei Masters 1000, si è messo al collo un oro olimpico e si è guadagnato la fama di battitore implacabile. Dopo ogni trionfo riecheggia la stessa domanda: «Come restare nell’élite quando il corpo rema contro?» La risposta è un triangolo perfetto di disciplina da metronomo, tecnologia medica d’avanguardia e – soprattutto – una mentalità refrattaria alla resa.
«Se non mi inietto l’insulina, la mia vita è in pericolo.» – Alexander “Sascha” Zverev
Un faro per chi sogna lo sport nonostante la patologia
La vera grandezza di Zverev si misura fuori dal tabellone. Nelle scuole tennis di mezzo mondo ci sono ragazzi – e genitori – che alla parola diabete vedono scattare un semaforo rosso. Lui lo sostituisce con un verde lampeggiante. Racconta che il sensore glicemico sul braccio è “un compagno di viaggio” e non un marchio di diversità; mostra la bustina di zucchero come fosse un over‑grip di riserva; spiega che le punture di insulina non sono un tabù ma un gesto di cura, identico alla fasciatura di una caviglia.
Durante il Roland Garros 2023, gli arbitri gli chiesero di uscire dal campo per iniettarsi l’insulina lontano dalle telecamere. Zverev rifiutò con fermezza: «Non è doping, è sopravvivenza». Quel “no” è diventato una lezione civica: lo sport di alto livello non può discriminare chi gestisce una terapia salvavita. Da allora il suo gesto è citato nei forum di giovani diabetici come prova che non bisogna vergognarsi delle proprie necessità, neanche sotto i riflettori di un Grand Slam.
Per i ragazzi che si affacciano allo sport con la stessa diagnosi, l’esempio quotidiano vale più di qualsiasi statistica. Zverev non parla di miracoli: racconta le sveglie notturne per controllare la glicemia, la dieta studiata al grammo, l’ansia di un’ipoglicemia improvvisa che può minare un match. Ma chiude sempre con la stessa morale: «Il diabete vuole programmazione, non rinunce». E i giovani lo ascoltano: imitano i suoi rituali di monitoraggio, usano l’app per sincronizzare i dati con i coach, imparano che la strategia di gara include anche il rifornimento di carboidrati a rilascio lento.
Impegno sociale: Aufschlag gegen Diabetes
Convinto che il talento non basti dove manca l’accesso alle cure, Zverev nel 2022 ha creato la fondazione Aufschlag gegen Diabetes. L’obiettivo è semplice e ambizioso: fornire sensori, penne d’insulina e supporto psicologico ai bambini che non possono permetterseli. Ogni clinic organizzata dalla fondazione è un mix di esercizi in campo e workshop sulla gestione glicemica, perché – come dice Sascha – «tecnica e terapia devono dialogare, non ignorarsi». Molti ragazzi escono dagli incontri con un autografo sul cappellino e l’idea che un futuro nello sport sia davvero possibile.
Oltre il punteggio, il messaggio
Zverev ci lascia un messaggio che va oltre il punteggio, oltre le statistiche, oltre le vittorie in bacheca: la grandezza non si misura con ciò che si conquista, ma con ciò che si affronta e si supera ogni giorno. In un mondo che chiede prestazione immediata, lui ricorda il valore della preparazione silenziosa, della costanza invisibile, della fedeltà al proprio percorso.
Il suo esempio ci parla di un’idea di successo diversa, più profonda e più autentica: quella che nasce dalla cura, dall’ascolto del proprio corpo, dal rispetto dei propri tempi. Ci insegna che il vero campione è colui che riesce a restare centrato anche nei momenti più incerti, a trasformare ogni limite in una lezione, ogni ostacolo in un passaggio evolutivo.
Zverev non si è mai definito un eroe, ma è proprio nell’umiltà con cui vive la sua condizione e la sua carriera che emerge il valore umano della sua storia. Non ci offre un modello inarrivabile, ci tende piuttosto una mano: a chi sogna lo sport, a chi si sente diverso, a chi vuole crescere restando fedele a se stesso.
E allora sì, quando quella pallina solca l’aria e cade dentro le righe con precisione chirurgica, non è solo un punto vinto. È un messaggio chiaro: che ogni persona, con consapevolezza, disciplina e visione, può diventare protagonista della propria partita più importante. E vincerla.
Cima Bue